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La colmata persiana: una fonte preziosissima per la conoscenza dell'arte greca

Nel 490 a.C., tutta la Grecia rischiò di essere travolta e conquistata dall'armata persiana, condotta da Dario; ma a Maratona, non molto distante da Atene, tra agosto e settembre di quello stesso anno, in una battaglia decisiva, l'esercito greco, composto in prevalenza da ateniesi e sotto il comando di un generale ateniese, Milziade, sconfisse quello persiano. Dieci anni dopo, nel 480, Serse, figlio di Dario, attaccò nuovamente la Grecia, calando da nord con un ingente numero di uomini; nonostante l'eroica difesa spartana guidata da re Leonida alle Termopili, l'esercito persiano riuscì ad invadere l'Attica, conquistò Atene e la distrusse. Ma anche questa volta la Grecia riuscì a reagire e a salvarsi sconfiggendo prima la flotta a Salamina e poi, l'anno successivo a Platea, l'esercito nemico. E' una delle rare occasioni in cui le città greche fanno squadra davanti al pericolo, un momento di grande coesione che non avrà eguali nella storia greca.

Per tre volte decisiva sui Persiani - a Maratona, a Salamina, a Platea - Atene si vantava a buon diritto di essere stata il baluardo della Grecia, e nessun'altra città greca certo poteva contestarglielo. Dalla seconda metà del V secolo a.C. si affermò dunque come la città economicamente più prospera e politicamente più influente di tutto il mondo ellenico. Al primato politico si unì parallelamente quello culturale.
Paradossalmente le distruzioni causate dall'invasione persiana costituirono un input formidabile per l'arte greca, che diede vita ad uno dei periodi artistici (e culturali) più fulgidi di tutta l'umanità. Tra il 480 e il 479 a.C. i persiani avevano devastato le campagne e ridotto in macerie gli edifici pubblici e privati dell'agorà e quelli sacri dell'Acropoli. Ma Atene trovò le forze per reagire. Affinché non fosse mai dimenticata l'invasione persiana, in un primo momento venne vietata la ricostruzione degli edifici sacri abbattuti. Successivamente però tale divieto venne revocato, grazie soprattutto alla pace di Kallias del 449 a.C. che poneva fine alle guerre persiane sancendo la supremazia ateniese sul mare e in Asia, e si assistette a un vero e proprio boom edilizio.
L'area sacra degli Ateniesi, l'Acropoli era stata profanata dall'esercito persiano, per questo si procedette ad abbattere quanto era rimasto in piedi e a sostituire le statue che erano venute a contatto con il nemico.
Tuttavia la religione greca non permetteva che le statue degli dei e gli ex voto si gettassero via come rifiuti e nemmeno che queste potessero lasciare il perimetro sacro dell'Acropoli.
Per questo motivo, si pensò di deporli sotto un cumulo di terra e detriti nello spazio compreso tra un muro, costruito nel corso della ristrutturazione per allargare lo spazio dell'Acropoli e la roccia.
Questo riempimento, date le sue origini, è stato battezzato come “colmata persiana” e rappresenta una fonte eccezionale per la conoscenza dell'arte greca, non solo per il suo contenuto, ma anche perché consente di stabilire un preciso termine ante quem. I pezzi rinvenuti nella colmata persiana sono infatti databili con certezza al periodo precedente al 480 a.C.
La conoscenza di questo limite cronologico ha aiutato gli studiosi a delineare con buona precisione le linee evolutive dell'arte greca fra la seconda metà del VI e la prima metà del V secolo a.C.
La “colmata persiana” ha conservato e protetto alcuni degli esemplari più rappresentativi della statuaria di età arcaica (VI secolo) ma ha anche restituito le testimonianze di una nuova tendenza artistica che per la sua sobrietà, figlia di un periodo storico difficile – quello delle guerre persiane - va sotto il nome di “stile severo”.
Questo straordinario giacimento di reperti archeologici venne scavato a partire dagli anni trenta del 1800: prima da Ludwig Ross poi da Kavvadias e Wilhelm Dorpfeld. Seguì un'imponente opera di catalogazione che si concluse con la pubblicazione nel 1936 di Marble Sculpture from the Acropolis, un volume con fotografie di Gerard Mackworth Young e con testo di Humfry Payne che diede un contributo fondamentale alla conoscenza della scultura arcaica.
Molto importanti e curiose sono le connessioni individuate dal Payne, un archeologo dotato di grande senso artistico. Egli scoprì che un torso di kore proveniente da una collezione privata di Marsiglia e conservata al museo di Lione combaciava perfettamente con la parte inferiore di una statua venuta alla luce dalla colmata persiana. Così la “kore di Lione” o “Afrodite di Marsiglia” come era stata chiamata, risultò essere proveniente dall'Acropoli e non ionica, come invece si era ritenuto in precedenza.
Oltre a questo ricongiungimento , Payne ne effettuò un altro. Ricollegò la testa Rampin con un busto di cavaliere proveniente dalla colmata persiana, restituendoci l'unico esempio pervenutoci di statua equestre del periodo arcaico (il c.d. "Cavaliere Rampin").
Oltre a queste due sculture ricomposte dal Payne, dalla colmata persiana provengono altri importanti esemplari della statuaria di epoca arcaica come il Moscoforo, la Kore di Antenor e  la Kore col peplo.
Fra le prime statue dedicate sull'Acropoli è il cosiddetto del "portatore di vitello" (Moscophoros).


Statua del Moschophoros; 560 a.C.; parte cons. 1,85 m; marmo attico; Atene, Museo dell'Acropoli (da Wikipedia)

Sulla base si conserva un nome, probabilmente quello di colui che ha dedicato l'opera: Rhombos. L'impostazione sembra quella tradizionale di Hermes, dio dei pastori: tuttavia qui non sembra di essere in presenza della rappresentazione della divinità. Si tratta piuttosto, con ogni probabilità, della raffigurazione del devoto costruita secondo la tipologia consolidata del kouros. Un giovane barbato, il cui corpo è vestito solo da un mantello, avanza con un vitello sulle spalle il cui peso ha la finalità di esaltare i muscoli di Rhombos. Probabilmente il committente ha dedicato la statua dopo una vittoria in una gara che aveva come premio un vitello: forse proprio in occasione delle panatenee del 566 a.C.
L'espressione della bocca disegna il cosiddetto "sorriso arcaico", una costante delle sculture di questo periodo, che sembra voler esprimere un sentimento di serenità e di equilibrio di un uomo ideale, distante dalle vicissitudini della vita terrena, imperturbabile. Gli occhi, mancanti, dovevano essere lavorati a parte in avorio o pasta vitrea.
Di poco posteriore (550 a.C.) è il "cavaliere Rampin", forse opera dello stesso scultore del Moscophoros nella sua fase più matura.

Cavaliere Rampin; 550 a.C. ca.; parte cons. 1,81 m; marmo delle isole; Atene, Museo dell'Acropoli, Parigi, Louvre (da Wikipedia)

Come si è detto, questa statua ha una storia archeologica curiosa: essa fu infatti ricostruita da H. Payne attraverso il ricongiungimento di una testa appartenente a Monseur Rampin, ora al Louvre, e un torso conservato ad Atene.
Dallo studio di altri frammenti provenienti dall'Acropoli sembra che i cavalieri fossero due. Alcuni autori hanno pensato che si possa trattare dei due figli di Pisistrato, Ippia e Ipparco, ritratti quali vincitori di giochi, come indicherebbe la corona di quercia. Minuzia decorativa nel trattamento della barba e dei capelli e sobrietà del torso, convivono con armonia.
Lo sviluppo della statuaria greca nella seconda metà del VI secolo a.C. si può ricostruire con una certa esattezza grazie soprattutto al ritrovamento di numerose statue femminili, le c.d. korai, le più importanti delle quali provengono della colmata persiana. 

Kore di Lione; 550-540 a.C.; m. 1,13; marmo; Atene, Acropoli, Parigi, Louvre (da Wikipedia)

Una di queste è la kore di Lione, ricostruita, come già accennato in precedenza, grazie alla geniale intuizione di H. Payne che ricollegò un busto esistente nel Louvre con delle anche esistenti nel Museo dell'Acropoli. La struttura solida e robusta della figura - si veda il volto squadrato, il collo breve e largo - offre un esempio eloquente di quella corposità tipica dello stile attico. Per la presenza del polos è stata identificata con una divinità, probabilmente si tratta di Afrodite.

Kore con peplo; 530 a.C.; m. 1,20; Atene, Museo dell'Acropoli (da Wikipedia)

Di poco posteriore alla kore di Lione è la cosiddetta Kore col peplo, alta appena 1,18 metri. Quello che immediatamente colpisce l'osservatore è la povertà decorativa soprattutto se si confronta con l'abbondante decorativismo ionico contemporaneo.
La figura indossa una veste semplice, il peplo, che ricade dal petto alla vita dove è stretta da una cintura. Sotto questa veste ce n'è un'altra, più sottile.
L'avambraccio sinistro doveva essere lavorato a parte e inserito nel braccio, per cui non dev'essersi spezzato, piuttosto staccato, ed andato perduto.

Kore di Antenore; 520 a.C.; m. 2,15; Atene, Museo dell'Acropoli (da Wikipedia)

Più recente, databile attorno al 520 a.C., è la Kore di Antenore. La figura indossa un chitone e sopra di esso un himation che lascia scoperto il seno sinistro. La mano sinistra, con al polso un braccialetto, sosteneva parte delle vesti, mentre il braccio destro, portato in avanti, doveva mostrare l'offerta. I capelli scendono sulla schiena e sulle spalle, trattenuti da un diadema. Sul capo e sulla corona erano inseriti spiedi di ferro per evitare che gli uccelli si posassero sulla scultura, esposta all'esterno.

La colmata persiana ha restituito il più prezioso gruppo di opere arcaiche dell'arte greca. Il loro buono stato di conservazione paradossalmente è dovuta proprio all'invasione persiana e al loro successivo abbandono e seppellimento. Se da un lato, infatti, molte di queste opere presentano mutilazioni dovute agli atti di vandalismo persiano, dall'altro la loro precoce sottrazione all'effetto degli agenti atmosferici ha consentito addirittura che si mantenessero nel volto, nelle vesti e nei capelli, tracce di pittura che una più lunga esposizione alle intemperie avrebbe sicuramente cancellato.


Bibliografia:
  • Bianchi Bandinelli R., Paribeni E., L'arte dell'antichità classsica. Grecia, UTET
  • Bianchi Bandinelli R. 1999, Introduzione all'archeologia classica come storia dell'arte antica, XV ed., Editori Laterza;
  • Giuliano A., Storia dell'arte greca, Carocci


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